2010年9月28日火曜日

Estratto dalla recensione al libro del critico Matteo M. Vecchio


Credo si possa parlare, del lavoro di Max Ponte, a partire già dalla copertina, come di un libro di protesta. La copertina, dunque: provocatoria, volutamente disturbante; copertina che, nella sua disposizione graficamente pubblicitaria, ha quasi lo scopo di disorientare il lettore disattento e di calamitare a sé, per contro, il lettore che va oltre l’immediatezza della ricezione. Da qui, la cifra ironicamente protestataria del lavoro. Protesta, si badi bene, priva di durezze e di dogmatismi militanti; protesta palazzeschiana, rigorosa nella sua (programmatica?) cifra affabulatoria e disorientante, non mai derogante rispetto alla dolcezza del pastiche, del controllato chaos, dell’ossequio alla primordialità della parola cui si oppone ogni tentativo miseramente umano di imbrigliarla, di costringerla. La parola «vola alta», «raggiunge» lo «zenit» della «sua significazione» se riportata alla sua verginità espressiva, se partecipata con la tenacia di un «cuore pensante». Il gioco, certo: ma se è vero che nulla è più serio, e seriamente strutturato, di un gioco, la protesta, impregnandosi di questa cifra giocosa, esprime il proprio vorace amore per la vita e tutto ciò che la compone: di qui il tratto, mai banale, popular, lo sguardo sul minuto del vissuto, sulle miserie del contesto umano.

Matteo M. Vecchio

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